FUCK FACE BY TADOLINI

FUCK FACE

 

Durante la notte, tutta la nazione si sarebbe fermata davanti all’evento sportivo dell’anno: il superbowl di football.

Ancora una volta i Patriots di Tom Brady, erano riusciti ad arrivare in fondo alla competizione e rischiavano di collezionare un altro record.

Il drugstore nei pressi dell’impianto sportivo, veniva preso d’assalto già nei giorni precedenti alla manifestazione da tifosi che avevano investito tanto sul biglietto e che si portavano gli snack direttamente da casa, oppure dai venditori ambulanti che li rivendevano dentro lo stadio a peso d’oro.

Purtroppo per Mike, il suo datore di lavoro, fu inflessibile, era l’ultimo arrivato nel drugstore e non poteva chiedere permessi di uscita anticipata.

Quindi solito orario 15- 24, e avrebbe potuto vedere la partita direttamente da casa.

Anche il giorno x era il solito viavai di persone completamente in estasi per veder combattere quei gladiatori sul terreno di gioco.

E puntualmente ogni tifoso sfoggiava la propria divisa d’ordinanza, come a voler rivendicare che da buon americano, la presenza al super bowl veniva avanti ad ogni cosa.

Mike da dietro la cassa, osservava con fastidio quel viavai chiassoso, ascoltando i vari discorsi e pronostici che venivano fatti in merito alla partita.

Una rapida occhiata all’orologio: finalmente mancavano solo cinque minuti alla chiusura del negozio. La tentazione era quella di chiudere tutto e andarsi a cambiare, ma se il capo fosse venuto a controllare, sarebbero stati cazzi acidi.

E un vecchio grassone del genere, figuriamoci se era un tifoso di football, uno così era da litri di birra sul divano di casa, a ruttare e a mangiare schifezze.

Intanto però, si poteva fare un rapido controllo agli scaffali per passare il tempo, spegnere le luci e che cazzo… ecco la classica rompicoglioni dell’ultimo momento.

“Ciao, stiamo chiudendo”

“aprimi per favore”

“se le serve un medicinale, il self service sarà attivo tra due minuti scarsi”

“ti chiedo di aprirmi per favore….”

“sto chiudendo, può tornare domattina? Oppure a due isolati c’è un altro drugstore aperto tutta la notte”

“cazzo, aprimi!”

“mi stai distruggendo la vetrina, dannazione. Tutti i pazzi sono in libertà. Avanti, forza, una cosa di giorno”

“grazie, mi hai salvato la vita”

“addirittura? Però prendi quello che ti serve e vattene”

“è il modo di trattare una ragazza?”

“mi spieghi, quale cazzo di problema hai? Stai tremando come una foglia”

“c’è un tizio che mi sta seguendo”

“hai chiamato il 911?”

“non posso”

“ah e invece barricarti qua dentro, è una soluzione?”

“parla piano, lui può sentirti”

“quindi, anche il mio vaffanculo può sentire? Dai cazzo, che voglio andare a vedere la partita, se vuoi ti accompagno a casa”

“non posso andare”

“ce l’hai almeno una casa? Qualcuno che ti aspetta?”

“si, ma sono tutti morti”

“ma te sei completamente di fuori, cosa ti sei presa?”

“Niente”

“ho capito, quindi cosa dovrei fare?”

“spegni le luci e chiudi tutto a chiave”

“va bene, poi ce ne possiamo andare?”

“se lui arriverà, non possiamo uscire”

“cazzo, ma perché parli a monosillabi? Sei sotto shock, vuoi qualcosa da bere?”

“una pepsi”

“bene, bella fredda, che magari un bello scossone ti farà riprendere”.

Apparentemente la ragazza sembrava essere uscita da un concerto punk. Capelli rossi con i lati striati di nero, pantaloncini corti che mettevano in risalto un bellissimo fondoschiena e un top aderente pieno di buchi, da dove si poteva intravedere il reggiseno leopardato.

Ormai comunque il fischio d’inizio era andato perso e Mike voleva andare in fondo a quella strana situazione.

La osservava sconsolato con un misto di incazzatura e un tocco d’ironia, come a voler dire “ma che giornata di merda sarebbe, questa?”.

“Mi puoi raccontare, come sono andati i fatti?”

“ho conosciuto un tipo ad un concerto”

“quale concerto?”

“un gruppo emo”

“avevo capito dalla faccia che ascoltavi musica di merda. Però intendevo dove?”

“al Metropolitan”

“non conosco, insomma. Vai avanti”

“niente, sembrava un tipo a posto, siamo stati insieme, e poi sono tornata a casa”

“va bene, c’è rimasto male, non gliel’hai data”

“era impossibile”

“non ti piaceva? Perché ci sei uscita?”

“sembrava un uomo, ma sotto non aveva il pistolino”

“quindi, era una donna?”

“No, era un uomo, ma con la patatina!”

“io giuro che non ci sto capendo un cazzo, tanto per rimanere in tema. Vai avanti”

“beh, mi sono messa a ridere, e lui s’è incazzato”

“l’hai ferito nell’orgoglio”

“ovviamente, non l’ho più voluto vedere e lui ha cominciato a tempestarmi di telefonate”

“pure frocio e stalker”

“stanotte ero in camera mia, quando ho sentito dei rumori venire dal piano di sotto. Mi affaccio sulle scale e lo vedo mentre uccide mio padre”

“l’hai visto in faccia?”

“no, aveva una strana maschera, ma l’ho riconosciuto da come camminava”

“che maschera?”

“beh, era a forma di membro maschile, un enorme cazzo”

“come l’ha ucciso?”

“gli ha tagliato la gola da parte a parte, gli ha abbassato i pantaloni e reciso il membro”

“che schifo”

“ha estratto gli intestini e si è fatto una cintura con posizionato al centro il pistolino di mio padre”

“e tu non hai telefonato alla polizia?”

“secondo te mi crederebbero?”

“non saprei, però sarebbero venuti a controllare”

“e tu mi credi?”

“credo che sei in difficoltà, non so nemmeno come ti chiami e mi hai fatto perdere la finale di football. Ti sembra un mondo giusto?”

“con me, non lo è stato”

“nemmeno con me, ora però dobbiamo uscire, se viene il mio capo a controllare e scopre che sono chiuso dentro con te, perdo anche il lavoro. Ti porto io a casa”

“sei sicuro?”

“si, tanto peggio di così, non potrà andare”

“non è troppo pericoloso?”

“basta che questa storia si concluda il prima possibile”.

Come nel peggiore degli incubi, la figura del capo si manifestò davanti la porta d’ingresso.

Un espressione a metà tra lo stupore e la voglia di affermare per l’ennesima volta la propria autorità.

“Cosa cazzo ci fai ancora nel mio market, insieme a questa ragazza?”

“posso spiegarle tutto”

“cosa ci sarebbe da spiegare? Fammi entrare, vai a svuotare il tuo armadietto, sei licenziato!”

“Non le apro, finchè non mi fa parlare”

“vai a scopare in qualche lurido motel, non in casa mia, schifoso ragazzino. Apri!”.

La morte arriva inesorabile, pronta a colpire, senza nessuna distinzione, senza nessuna pietà.

Fuck face si materializzò alle sue spalle, il luccichio della lama che risplendeva sotto il chiarore della luna piena.

Uno spettro notturno, un’anima piena di odio e risentimento.

Lo zampillo del sangue andò ad infrangersi contro il vetro, uno scroscio rosso, paralizzando i due ragazzi.

Come un macabro rituale, i pantaloni vennero abbassati, il grosso coltello si posizionò all’estremità del pene e zac….., anche quello venne tagliato, togliendo al cadavere una precisa identità sessuale.

Un movimento ondulatorio di Fuck face, fece capire alla ragazza, le proprie intenzioni, ovvero fottersela a dovere.

I due ragazzi, si erano rifugiati vicino al banco frigo, in preda all’orrore più totale.

Come in un perfetto slasher, i telefoni erano isolati, l’attacco quindi era stato calcolato con dovizia.

“Ora mi credi?”

“ma tu guarda, in che cazzo di situazione, sei andata a mettermi. Perché tutte a me? Ma cosa piangi?”

“non me lo merito nemmeno io”

“tra un’ora deve passare la guardia giurata per il controllo”

“riuscirà a sopravvivere?”

“bella domanda…..”.

La conversazione venne interrotta dal rumore di alcuni cartoni di latte che esplodevano uno dietro l’altro.

Fuck face era presente, con la sua cattiveria e la maschera grottesca.

Si palesò davanti ai ragazzi ancora sdraiati, con un nuovo membro posizionato al centro della cintura.

Con la mano fece cenno alla ragazza di spogliarsi, minacciando col coltello il suo nuovo amico.

Rimase in topless, con uno striminzito bikini leopardato che metteva in risalto un seno piccolo, ancora acerbo ma che prometteva bene. Due chiappe ben costruite, segno comunque di un’attività fisica evidente.

Le mani orientate verso il basso fecero capire con cosa si poteva iniziare: un blowjob direttamente a quel membro ancora gocciolante sangue.

Con riluttanza la ragazza si inginocchiò, spalancando la bocca, e andando avanti e indietro, cercando un ipotetica vitalità per quell’organo morto.

Niente da fare, nessuna forma di piacere. Quindi bisognava tagliarne un altro, in posizione eretta.

Prese le mani del ragazzo, costringendolo a palpeggiare la ragazza, alla ricerca di un desiderio sessuale che potesse trasmettersi alle zone basse.

Sembrava inutile, insensibile al richiamo di quel corpo così invitante.

Fuck face indicò la bocca come possibile stimolo, un altro blowjob dove finalmente il ragazzo dimostrò di essere maschio.

Inizialmente, tentò di trattenere ogni tipo di emozione, per poi lasciarsi andare al contatto con quei piercing metallici che la giovane nascondeva dentro la bocca.

Le prese la testa, indirizzandole i movimenti fino al classico ed inevitabile zac!, lasciando la poveretta con un bel pezzo di cazzo ancora eretto conficcato in bocca e un’esplosione di sangue che le schizzava in faccia.

Finalmente, ora si poteva concludere, quindi le strappò il bikini, la fece girare e glielo conficcò direttamente nel culo, tutto in profondità.

Una sensazione che non aveva mai provato in vita sua, anche davanti esplorando con la lingua ogni anfratto della sua cavità vaginale, per poi affondarglielo direttamente in bocca tra conati di vomito, fino a strozzarla con le proprie mani. Col coltello aprì un varco nella pancia, inserì le mani strappò via il cuore, simbolo di un trofeo appena conquistato.

Mentre da lontano, si sentivano i rumori dei festeggiamenti per l’ennesimo superbowl vinto da Tom Brady e compagni.

 

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