DER TODESKING

REGIA: JORG BUTTGEREIT

ATTORI: NICOLAS PETCHE, HERMANN KOPP, JORG BUTTGEREID

REPERIBILITÀ: MEDIA

GENERE: HORROR-DRAMMATICO-PSICOLOGICO

ANNO: 1990

Jorg Buttgereit è un vero artista, attivo sin da giovanissimo nel circuito underground tedesco e non, autore di splatter estremi come “Necromantik 1 e 2” e “Schramm” questo “Re della morte” è un film a episodi dall’atmosfera cupa e triste, dopo un’enigmatica intro dove una bambina disegna uno scheletro stilizzato su un foglio, inizia la prima storia, ogni episodio è collegato a  un giorno della settimana nel primo assistiamo alla vita grigia di un impiegato che si licenzia, troviamo una musica ripetitiva ipnotica e malinconica composta dal trio Kopp-Lorentz-Walton. In questo primo episodio la cinepresa si muove in modo circolare nella squallida stanza dove vive l’anonimo impiegato, personaggio del quale non sappiamo praticamente niente ma del quale intuiamo la vita solitaria e ai margini. Quasi totale assenza di dialoghi che appesantisce ancor di più l’atmosfera, musica e movimenti circolari di macchina da presa creano un effetto straniante e ipnotico sottolineando una situazione di disagio e solitudine, che avrà un triste epilogo da notare il parallelismo fra il pesce che si posa sul fondo e l’uomo che si accascia nelle vasca. Nel secondo episodio abbiamo un altro anonimo personaggio metropolitano noleggia un film di naziploitation prima di compiere un omicidio-suicido forse influenzato e ossessionato dalla violenza vista nel film (“Ilsa la belva delle SS ” di Don Edmonds). C’è spazio anche per un’autocitazione,  (dire dell’auto citazione con la Locandina di Necromantik nella videoteca, abbiamo sempre personaggi anonimi, la vera protagonista è la morte che invisibile e silenziosa assume i contorni di un personaggio principale e invisibile ma sempre presente come destinazione finale dei protagonisti. Nel secondo episodio ci sono anche alcuni momenti più ironici come la cornice appesa sulla chiazza di sangue pe rincorniciare l’omicidio come fosse un macabro quadro astratto ma è solo un momento in quanto altre tracce di ironia non le troveremo affatto in questo film nero come la pece. Per il giorno di mercoledì troviamo un uomo solo e triste su una panchina dove si siede una misteriosa donna un po’ dark che ascolta la sua storia e quella di sua moglie malata. C’è un monologo triste e che non risparmia particolari intimi, frequente uso dei primi piani, un episodio diverso dai precedenti sempre triste ma forse ancora più criptico un lungo monologo incentrato sull’omicidio e la follia, l’oggetto amato che si tramuta in rabbia e furia cieca. A fare da intermezzo fra un episodio e un altro c’è il simbolismo di un cadavere che viva via è sempre più putrefatto, a sottolineare una sorta di discesa in una disperazione sempre più nera, un forte simbolismo che si riallaccia bene alle atmosfere cupe del film. Nel successivo segmento troviamo una donna che abita in uno squallido palazzo e trova una lettera che è una catena di Sant’Antonio che parla della morte in modo ironico con un humor molto nero, abbiamo anche qui ambienti squallidi e una situazione di solitudine questo è forse l’episodio più criptico, abbiamo assenza di dialoghi e un’atmosfera a tratti irreale, sogno? Realtà? Ricordi? tutto è confuso e si lascia spazio all’interpretazione. Il cadavere degli intermezzi diventa sempre più putrefatto a sottolineare la discesa all’inferno della disperazione, nella successiva storia troviamo una riflessione sugli omicidi di massa e sul perchè l’assassino ricerca una macabra visibilità, troviamo una donna che legge queste dissertazioni come fosse un copione teatrale  e poi esce a far danni con un’imbragatura sulla quale monta una telecamera e gironzola facendo fuoc0 con una pistola. Si tratta di una fredda analisi della follia dei killer della porta accanto della loro mania di protagonismo, girato in buona parte in prima persona per far maggiormente identificare lo spettatore con l’assassino. Nell’ultimo episodio ritornano i moti circolari della cinepresa mentre un ragazzo in una squallida stanza è in preda alla disperazione e cerca di fracassarsi la testa nel muro, anche qui è la disperazione a fare da padrona, nessun dialogo, non una parola parlano solo le movenze ossessive e le talvolta vorticose inquadrature. Chi è il Re della morte? Forse è solo un personaggio immaginario nato dalla mente della bimba che disegna? O è forse il ragazzo disperato dell’ultimo episodio? “Der todesking” è un film dalla regia grezza ma che cerca talvolta dei guizzi interessanti (le riprese circolari) un film difficilmente inquadrabile in un genere preciso, molto psicologico, un dramma nero a episodi? Uno psicodramma a tinte horror? Difficile rispondere. Abbiamo un’opera che parla per immagini, pochissimi dialoghi   un impianto semi professionale e un budget sicuramente non alto sembrano non inficiare molto sul risultato finale che per mostrare la disperazione più nera non necessitava di chissà quale investimento. Troviamo un montaggio sempre rilassato e inquadrature mediamente lunghe che enfatizzano l’atmosfera pesante che il regista intende trasmettere, Buttgereit ci dà una piccola lezione di cinema con poco budget creando un’opera atipica girata in massima parte in interni cosa che accentua il senso di alienazione mentale. Ogni episodio presenta personaggi anonimi chiusi nel loro inferno metropolitano personale che vengono risucchiati in una spirale senza uscita, lo spettatore non ha un personaggio in cui identificarsi, non ci sono eroi, solo la morte trionfa, un film cupo per amanti del cinema underground.

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