REGIA: BRANDON CRONENBERG

ATTORI:  ANDREA RISEBOROUGH, CHRISTOPHER ABBOTT, ROSSIF SUTHERLAND, TUPPENCE MIDDLETON

REPERIBILITÀ: ALTA

GENERE: FANTATHRILLER

ANNO:  2020

 Brandon Cronenberg (“Antiviral”) porta sicuramente il peso di un cognome importantissimo,  che è entrato nell’olimpo dei grandi,  Brandon vuole seguire le orme del padre cercando di far rivivere le atmosfere legate alla mutazione dei corpi (tema cardine della cinematografia paterna) il tutto in un ottica moderna e personale come dimostra di aver fatto in questo discreto fantathriller in cui è ben presente la tematica del corpo e della possessione. La sceneggiatura è molto interessante e proprio il tema delle sopracitata possessione emerge prepotentemente da questo thriller impreziosito da elementi fantascientifici, un tipo di possessione diversa da quella a cui siamo abituati a pensare, “Possessor” reinventa la tematica della possessione, niente più preti, ragazze che si contorcono alla vista di crocifissi, è la possessione del futuro targata  Cronenberg, corpi invasi per compiere delitti, interessi in gioco, la possessione è ormai scevra da qualsiasi aspetto religioso. Una possessione “tecnologica” dove il corpo viene  violato con innesti ed iniezioni craniche atte a creare questa  possessione hi tech che viene talvolta mostrata in maniera allucinatoria come una sorta di anima che esce dal corpo, la pelle plastica che si fonde, immagini che scorrono velocissime, tunnel organici ed altro ancora.

Tasya Vos lavora come killer per un’agenzia specializzata nell’utilizzo di una tecnologia avanzata in grado di possedere individui al fine di compiere delitti su commissione. L’agenzia sceglie accuratamente di possedere (tramite una sorta di casco) una persona vicina alla vittima in modo da facilitare le cose, finita la missione il “possessore” si suicida con un colpo di pistola per invertire il processo e tornare nel suo corpo. Tasya sente il bisogno di una pausa e torna dal marito e dal figlio poi decide di accettare un nuovo incarico uccidere il capo di una nota azienda e sua figlia possedendo il fidanzato di lei, Colin. Tasya riesce a possederlo ma le cose non vanno come previsto, la donna si rende conto di faticare nel mantenere il controllo sul corpo dell’uomo, le due personalità cominceranno successivamente ad entrare in conflitto, una vera guerra interiore per il controllo del corpo, chi vincerà? Quali saranno le drammatiche conseguenze? La regia è molto elegante attenta ai dettagli,   c’è subito una finezza registica con l’acqua di una fontanella che scorre all’indietro e l’ascensore nel cui interno vi è un’oppressiva luce rossa quasi un passaggio ad un altra dimensione più oscura, quella appunto del primo delitto, il rosso pare essere il colore dominante, la luce nell’ascensore infatti è un preludio ad una scena di sangue e follia in cui il sangue scorre a fiumi ed il suo colore rosso viene esaltato dall’ottima fotografia.

Le musiche del compositore e chitarrista Jim Williams (premiato al Sundance film festival proprio per questa colonna sonora) sono ben cucite alle atmosfere del film, sinistre ma non ingombranti  fanno il loro ingresso fin da subito, spesso gli edifici, gli arredi, hanno un che di futuristico, i colori sono sempre messi in evidenza sia che si tratti del rosso del sangue che del verde acceso della facciata di un edificio o il bianco immacolato di una cucina modernissima. C’è la tematica del controllo del corpo messa in atto dalla killer ma anche il controllo esercitato dalla società per cui lavora Colin specializzata nello spiare le persone, quindi questo tema è ben presente nel film sotto diversi aspetti: quello puramente corporale e quello legato ad una sorta di voyeurismo tecnologico legalizzato. Il cast è ottimo, Andrea Riseborough è Tasya la protagonista, la sua interpretazione rende il personaggio allo stesso tempo letale e fragile, l’attrice riesce a rendere bene l’idea di una donna stanca ed instabile mentalmente che possiede corpi estranei per compiere delitti, in netto contrasto con la sua aura triste ed angelica. Poi troviamo Sean Bean (“Il signore degli anelli”)attore versatile che riesce bene ad interpretare sia ruoli positivi che negativi, in questo caso lo troviamo nella parte di un capo azienda alcolizzato e scorbutico protagonista di una scena molto splatter, l’elemento del sangue ed il colore rosso sono spesso presenti: il delitto iniziale, il sangue che sgorga dalla gola del marito nell’allucinazione ed il sangue che appare nella diapositiva che copre tutta la parete durante il dialogo con la psichiatra.

C’è anche il tema dell’identità sessuale in quanto la protagonista si ritrova nel corpo di un uomo, siamo in un futuro dove in certi contesti l’identità sessuale muta continuamente infatti per la protagonista è una cosa fluida per esigenze “lavorative”,  non è casuale che la protagonista sia una donna, elemento portatrice di vita che in questo caso si fa in quattro per dare la morte. C’è anche una guerra fra anime in atto per il controllo del corpo del giovane, Tasya fatica infatti a tenere fuori l’anima del ragazzo che torna prepotentemente nel momento catartico (sottolineato dalla solita inquietante luce rossa) del controllo bio-tecnologico dove dentro il corpo ospitante c’è un conflitto (forse anche di identità sessuale) fra la killer e il giovane (la sua anima) che reclama il suo spazio tuttavia lo scontro finisce in un orrendo pareggio dove non c’è predominio di alcuno, nessun vincitore, solo la nascita di una nuova entità ibrida un mostro dal volto distorto.

È interessante l’aspetto della con-fusione di identità fra due soggetti, che si riassume nella battuta del personaggio principale “… un verme finisce per avere accesso alle sue idee e poi le idee non sai se sono tue o del verme” quindi c’è il tema di due identità che si contendono mente e corpo in un cortocircuito biologico ed allucinatorio con continue intromissioni psichiche sottolineate da violenti flashback. Quindi il tema della fusione è presente in tutto il film, è emblematica in questo senso la sequenza del sangue delle due vittime che si fonde spandendosi sul pavimento, una sorta di tragica fusione finale, Brandon Cronenberg vuole farsi valere come regista erede di un grande maestro e con questo film a mio avviso dimostra di aver ben appreso la lezione paterna portandola verso lidi più moderni.

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