REGIA: MARIAN DORA

ATTORI:  ULLI LOMMEL, THOMAS GOERSCH, DORAIN PIQUARDT

REPERIBILITÀ: BASSA

GENERE: HORROR-DRAMA

ANNO:  2014

Marian Dora è lo pseudonimo con cui si firma questo misterioso regista tedesco autore di horror splatter, malsani e di sicuro impatto che nel corso degli anni ha diretto una discreta quantità di cortometraggi: “Carnophage“, “Cadavericon“, “Agonie”, ed altri. Per quanto riguarda questo “Carcinoma” il regista si avvale di attori poco conosciuti ad eccezione del regista-attore Uli Lommel (che ha interpretato diversi personaggi in famosi film di Fassbinder) con alle spalle una lunga attività partita nel lontano ’62 (come attore, da ’71 all’ 1980 recita in molti film per la tv)  anche in questo caso Dora non si smentisce mettendo a ferro e fuoco lo spettatore con un film duro e crudo. “Carcinoma” è un horror senza mostri, reale ed al contempo sospeso in una dimensione parallela dove domina la sofferenza, grazie ad una fotografia curata che opacizza molte scene, in particolare le sequenze all’interno dell’ospedale (gli interni dell’ospedale, la nebbia notturna spesso presente, con una tendenza ai colori scuri e grigi che enfatizza la tematica) creando un prodotto originale situato nella zona di confine fra horror e dramma oscuro.

La sceneggiatura percorre binari molto semplici ma il film riesce ad essere molto originale nelle sue malsane e tragiche intenzioni ovvero mettere in mostra le sofferenze di un malato terminale di cancro, Dorin è un  uomo malato che lavora in una discarica (emblematica correlazione fra marciume interno ed ambiente esterno ugualmente marcio) ha un tumore in fase avanzata ma paradossalmente accetta la sua malattia come una sorta di castigo divino, una cosa da accettare come una sorta di castigo divino. Il protagonista è alla ricerca di un piacere sessuale che la sua ragazza non riesca a dargli (c’è anche il tema dell’impotenza) la ricerca poi di un sesso deviato e fetish ed il “deragliamento” verso pratiche sadomaso. “Carcinoma” ci trasmette fin da subito un’atmosfera di morte, sofferenza e malattia, un’aura soffocante e malsana, (già dai primi emblematici minuti dei titoli di testa con l’uccellino morto e successivamente con le immagine del dito che penetra e tormenta la ferita sanguinante).

  Il protagonista inizialmente non viene quasi presentato diventando una figura simbolica di sofferenza e disperazione,  conscio del suo male ma che rifiuta ogni cura medica (accettazione folle della malattia quale castigo divino come suggerito dalla cover nella quale compare Dio simboleggiato dall’occhio?) l’ospedale in questo caso non è un luogo rassicurante ma un posto buio e sinistro quasi una sorta di purgatorio reale. Poi il regista vuole mostrarci qualcosa di più del protagonista, la sua fidanzata, la sua vita pre malattia, con un’intensa e delicata scena d’amore e sesso sottolineata da un dolce pianoforte e caricata di una certa simbologia, il serpente fra i corpi nudi è forse una metafora del male strisciante che si insinua fra i corpi (infatti poi i due si allontaneranno). C’è in diverse scene (l’amplesso, i due mezzi nudi vicino al manichino oppure quando Dorian fa esercizi fisici) un’ esaltazione del corpo e delle sue forme ed una riflessione sulla sofferenza psichica (l’abbandono della persona amata) e una fisica (il corpo e la sua putrefazione) c’è una sequenza abbastanza lunga e significativa che esplicita il significato del film: non è tanto la paura della morte stessa ma le sofferenze che conducono ad essa; una sequenza significativa in questo senso  quella in cui il nostro “eroe” è nell’ospedale ed intorno a lui vede solo morte e sofferenza, diventando lui stesso parte di questa sofferenza con dolorosi esami attraverso sonde che gli entrano nel corpo e malati (che paiono quasi degli zombi) che lo turbano con le loro sofferenze.

Le sequenze erotiche sono molto spinte, diventando via via più perverse passando dai semplici rapporti focosi  al fetish (liquidi ed accenni di escrementi) con tentativi dell’amante di rivitalizzare la sessualità spenta del protagonista in una sorta di tentativo perverso di rivitalizzazione del fallo, “Carcinoma” colpisce duro: agonia, liquidi corporei puzzolenti, scene erotiche borderline, ed un’atmosfera triste e opaca, nel film non c’è speranza o redenzione, solo una discesa nell’abisso. Gli effetti sono tutti artigianali e perfettamente funzionali alla storia, non ci sono personaggi positivi, anche l’amico gay all’apparenza simpatico che cerca di scuoterlo dalle sue oscure ricerche esoteriche sulla morte è in realtà un deviato a cui piace farsi frustare, che lo trascinerà in esperienze sadomaso, una figura ambigua e carontica, nel senso che è come un trascinatore verso un abisso sessuale depravato. La regia usa frequenti primi piani per farci condividere la sofferenza del protagonista, primi piani sulla putrescente ferita e sul volto, con il chiaro intento registico di far partecipare lo spettatore a questa agonia, un film non per tutti di un regista originale e fuori dai soliti schemi che in questo caso specifico ha saputo percorrere l’insolito sentiero di un dramma a tinte fosche mixandolo con atmosfere horror non convenzionali.

 

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